N. 2 Decisione 12 giugno 2009 a carico dell’ing. K (Inc. 2008/2)

  • Divieto di sottoscrivere una domanda di costruzione per un’opera appartenente a un campo d’attività diverso da quello nel quale il membro OTIA dispone dell’abilitazione a esercitare la professione.
  • Interpretazione dell’art. 4 cpv. 2 LE (Legge edilizia).
  • Prevalenza della categoria professionale scelta sulle particolarità della preparazione professionale

  • Data:
  • 13.06.2009

Riassunto dei fatti:

L’ing. K è iscritto all’Albo OTIA nel gruppo professionale “ingegneria civile”. Ha sottoscritto una domanda di costruzione per un’edificazione di natura pacificamente architettonica.

Diritto:

vedi lo stesso titolo alla decisione N. 1.

Conclusioni:

L’ing. K nelle sue osservazioni difende il suo comportamento con due argomentazioni fondamentali. Anzitutto, sostiene che le leggi del settore trattano in modo indiscriminato il progettista architetto e il progettista ingegnere. Sennonché, se ciò potrebbe essere vero per quanto concerne l’art. 4 cpv. 1 LE che in tema di presentazione all’ente pubblico di una domanda di costruzione afferma genericamente, a prescindere cioè dalla natura del progetto, come la stessa e i documenti annessi debbano essere firmati dal proprietario e dal progettista, non si può invece condividere la tesi secondo cui l’art. 4 cpv. 2 LE non sarebbe letteralmente chiaro, tanto da esigere un’interpretazione di tipo teleologico o storico. La lettera della norma è infatti assolutamente univoca e quindi non necessita di nessuna interpretazione, puntualizzando che (come ammette l’ing. K poco oltre, per tutta la documentazione da produrre, in particolare progetto e domanda) la firma di un architetto o di un ingegnere dipende proprio dalla natura dell’opera. In altre parole, l’opera del genio civile recherà la firma di un ingegnere e l’opera architettonica di un architetto. E tanto meno occorre interpretare la LEPIA: come già esposto al punto precedente, è vero che architetti e ingegneri sono considerati allo stesso modo quanto al diritto di esercitare le loro rispettive professioni, ma ognuno gode di determinate prerogative all’interno del proprio gruppo professionale (art. 3 cpv. 1 e art. 8 LEPIA, art. 3 e 4 del Regolamento d’applicazione LEPIA).

Il secondo argomento esposto nelle osservazioni concerne la preparazione professionale specifica dell’ing. K; questi è ingegnere civile diplomato alla SUPSI con indirizzo “edilizia”. Rileva che nel supplemento al diploma conseguito risulta la sua formazione anche rispetto all’attività di progettazione nell’edilizia, campo nel quale avrebbe già avuto possibilità di cimentarsi. Orbene, a prescindere da ogni considerazione sul termine “edilizia” e comunque ammettendo che, anche nella costruzione di opere d’architettura, il progettista architetto si avvale spesso della collaborazione di ingegneri civili che si trovano pertanto a operare nel campo dell’edilizia (e non nel campo del genio civile), non può essere certamente un elemento aggiuntivo della formazione personale a determinare il gruppo professionale cui l’ing. K appartiene: egli infatti ha operato scelte univoche, optando per la preparazione e ottenendo il diploma di ingegnere civile, nonché, dietro sua richiesta, ottenendo l’autorizzazione dell’OTIA a esercitare quella stessa professione. Ai fini della sottoscrizione come progettista di domande di costruzione, egli resta pertanto vincolato a tale gruppo professionale e poco importa –sotto questo punto di vista- che in quest’ambito egli possa vantare di aver seguito, durante gli studi, anche corsi comuni con il ciclo di Architettura, peraltro inteso solo a “permettere agli studenti una prima coabitazione” con quella professione (Supplemento al diploma, pag. 2 in fondo); e poco importa anche che il diploma conseguito gli permetta di “assumere funzioni nell’intero spettro delle attività della progettazione, esecuzione e gestione di opere dell’edilizia e del genio civile”. D’altra parte, egli non ha avuto la formazione di architetto e non avrebbe pertanto potuto essere autorizzato a esercitare quella professione, né essere iscritto all’Albo OTIA come architetto, né, di conseguenza, sottoscrivere atti come progettista architetto o come progettista di opere d’architettura.

Malgrado la sua strenua difesa, l’ing. K è contravvenuto a una regola fondamentale concernente l’autorizzazione a esercitare la professione di ingegnere civile, ottenuta da parte dell’OTIA (consid. 5).         

Sanzione: ammonimento.

Osservazioni:

invocando l’art. 25 LEPIA, l’ing. K ha interposto ricorso contro questa decisione al Tribunale cantonale amministrativo. Quest’autorità ha respinto il ricorso con sentenza 16 settembre 2010. Contro questo secondo verdetto l’ing. K ha interposto Ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale: anche quest’ultima istanza ha respinto l’impugnazione dell’ing. K con decisione 10 marzo 2011. In particolare, i giudici della Corte federale –precisando che in concreto la loro competenza è limitata all’esame dell’eventuale lesione del diritto federale (ivi compresi i diritti costituzionali) e non del diritto cantonale- hanno ritenuto che le conclusioni tratte dal Tribunale amministrativo ticinese debbano essere condivise. Affermano che la conclusione -secondo cui l’ammonimento pronunciato nei confronti del ricorrente è giustificato- non è il risultato di un’applicazionemanifestamente insostenibile delle norme cantonali (art. 3 cpv. 1 e art. 8 LEPIA) e neppure di una valutazione irragionevole della portata dei diplomi da lui ottenuti … Al contrario … Puntualizza il TF che i titoli di studio conseguiti hanno certamente importanza, ma che la stessa è determinante al momento del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio della professione, ossia quando si decide per quali gruppi professionali e campi d’attività viene concessa l’autorizzazione all’eserciziodelle professioni di ingegnere o di architetto. Una volta ottenuta tale autorizzazione in relazione a un determinato gruppo professionale, l’esercizio della professione si deve limitare ai campi d’attività che lo caratterizzano, conformemente all’abilitazione ricevuta.  Conclude che, date queste premesse, la corte cantonale (ossia il Tribunale amministrativo) poteva senz’altro decidere che le norme dellaLEPIA sono state in concreto violate da parte dell’ing. K.



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