N. 15 Decisione 4 marzo 2015 nei confronti dell’arch. K (inc. 2013/1 – 2014/2)

  • Contravvenzione al Codice deontologico di un architetto che si sottrae sistematicamente ai contatti personali con un committente con il quale sono sorte divergenze.

  • Data:
  • 18.05.2015

Riassunto dei fatti:

L’arch. K è stato oggetto di due segnalazioni da parte di altrettanti committenti per motivi diversi. Di particolare interesse è il rimprovero -mossogli in una delle fattispecie prese in considerazione- relativo al fatto che, sorte difficoltà di vario genere nei rapporti fra committente e architetto, questi ha ripetutamente evitato di incontrare personalmente il cliente, o mancando ad appuntamenti, oppure facendovi presenziare suoi collaboratori in sua vece; e persino si è sottratto a colloqui telefonici diretti, delegando tale genere di contatto ad altra persona del suo studio. L’architetto giustifica tale suo atteggiamento con “l’attitudine alla discussione aggressiva” del committente.

Diritto:

Secondo l’art. 6.3 del Codice deontologico, durante tutta la durata del contratto, l’ingegnere e l’architetto deve prestare al committente tutto il suo sapere e la sua esperienza. Dev’essere in grado in ogni momento, di informare il committente sullo stato dei lavori e suogni altro aspetto dell’incarico (consid. 12, primo cpv.).

Conclusioni:

Su questo aspetto della fattispecie, la Commissione si è posta la domanda di sapere se il professionista –col quale dovrebbe perdurare un rapporto di fiducia- può evitare ogni contatto personale diretto con la committenza. Al proposito ha considerato: Questo non hanulla a che vedere con le capacità professionali dei collaboratori cui l’architetto ha ritenuto di volta in volta di delegare le sue competenze, …, ma semmai con il rispetto, con la diligenza e con la fedeltà che le norme deontologiche impongono a ingegneri e architetti. Anche nelle norme che reggono il contratto di mandato –che sta alla base del rapporto tra architetto e committente in merito alla direzione dei lavori– il presupposto fondamentale perché il contratto sia correttamente adempiuto è l’esistenza di un rapporto di reciproca, personale di fiducia (Rolf Weber, in Comm. di Basilea, OR I, ed. 4, Basilea 2007, art. 394 CO, N. 3). Al fine di capire meglio il Codice deontologico non appare arbitrario far capo al diritto sostanziale, sia dove prevede che il mandatario deve prestare la sua opera personalmente (art. 398 cpv. 3 CO), sia dove gli impone di informare in ogni momento il mandante sull’esecuzione del compito affidatogli (art. 400 cpv. 1 CO ). E’ vero che partner contrattuale e persona di riferimento del committente è l’architetto in persona, ma ciò non esclude l’intervento in sua vece di suoi dipendenti o collaboratori; nell’ottica della deontologia v’è però da chiedersi fin dove una delega interna sia ammissibile. Dalle regole professionali verso la committenza si deve piuttosto dedurre che l’intervento di collaboratori del mandatario è praticabile fintanto che il committente lo tollera o lo autorizza; quando però il cantiere è di piccole dimensioni –come quello in esame– e il mandante esige contatti personali, l’architetto non può eludere tale richiesta. D’altra parte, un obbligo in tal senso si colloca pure nell’ambito del menzionato dovere d’informazione di ogni mandatario -e quindi anche dell’architetto- che permetta in ogni momento al mandante di giudicare se i compiti da lui assegnati vengono assolti correttamente e secondo le sue istruzioni (Weber, op. cit., art. 400 CO, N. 3), ciò che –per propria natura– incombe anzitutto all’architetto personalmente, nell’ambito del suo dovere di rendiconto. Sottraendosi in modo ricorrente a questi obblighi, ancorché per motivi personali che egli ritiene sostenibili, l’arch. K ha chiaramente contravvenuto alle norme professionali sui rapporti con i committenti.



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